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capitolo xvii. | 207 |
— Io? E come potrei? Basta... prescrivi il tempo e il modo; mi proverai quale più mi vuoi, ancella o moglie... se mancherò perdonami... l’avvilimento in cui cademmo... la debolezza del sesso mi hanno offascata la mente.
— Svegliati, che adesso ci ha mestieri della tua sagacia: è necessario che tu ritorni subito dal signor presidente.
— Io? Il presidente? E perchè? disse la donna con voce strangolata; e Fabrizio pigliando lei che tremava come vetta, le zufolò dentro gli orecchi:
— Il ministro possiede carte di mio, le quali, sebbene scritte in altri tempi, pure mi chiarirebbero reo della medesima colpa per cui intendo mettere accusa addosso ai nemici del trono che ci oltraggiarono; se non me le rende, io mi perito a saltare il fosso; troppo grossa posta ci metterei su... io voglio dunque che tu vada a conferirne con lui, e gli faccia intendere che senza cotesti fogli io non tiro innanzi il negozio.
A coteste parole il volto di Bianca apparve come il buio di una notte infernale a un tratto illuminato da un fuoco vermiglio del Bengala, imperciocchè ella diventasse rossa in grazia del sangue che le rifluì sopra le guancie scolorate: con la sicurezza le tornò la petulanza, onde quasi acerba esclamò:
— Vedere il presidente io? Io tornarci? Ma che lo pensi? Lo pretendi davvero?