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capitolo xvii. | 203 |
colarsi senza pro. Nei paesi liberi come il nostro la illegalità tu t’hai a figurare che è un grimaldello, il quale ti apre le dieci e le venti serrature ma all’ultimo ne incontri una dove ce lo rompi dentro con tuo danno e discredito della magistratura. E tu a quest’ora avresti a sapere che le brutte e le bruttissime cose ai superiori piacciono a patto che tornino utili e non mettano il campo a rumore; ripeto, con me non ci è danno, ma tu non lo sapevi; però l’esito non discolpa la tua sconsideratezza. Terzo scappuccio: prima di arrestarmi hai tu cercato di conoscere ch’io sia, e se poteva io fare più male a te che tu a me, e se avrebbe giovato meglio al tuo assunto ch’io stessi in prigione, ovvero fossi libero?
— E in che tu puoi nuocere, in che giovare? Chi sei? Che sospetti?
— Io non sospetto; per debito di ufficio, a cui adempio troppo meglio che tu al tuo, io sono al giorno del processo che stai fabbricando, però aspettava da un punto all’altro di essere chiamato da te per metterci d’accordo...
— Debito di ufficio! Ma tu chi sei? Chi sei?
— Io sono, rispose Sotero con certa aria solenne, studiando inverniciare di onestà la sua ribalderia, io sono un fedelissimo suddito del re nostro signore e padrone; figlio di un padre che ha servito sempre con devozione i suoi sovrani, uno che fu al-