Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
capitolo xvii. | 199 |
— Bene... bene... grazie... me ne approfitterò per un’altra volta.
— La si accomodi, ma si ricordi di avere in me un mnilissimo servitore.
— Alla occasione ce ne rammenteremo.
Il giudice stava a bocca aperta, non sapendo in qual mondo si fosse; ma riavutosi dal primo sbigottimento, lo istinto sbirresco del male captus, bene detentus1 prese il disopra alla prudenza, onde levatosi con viso acerbo esclamò:
— Come può essere questo? Badi, signor direttore, a quello che fa! Lei corre rischio, nientemeno, di perdere l’impiego.
— Caro avvocato, pensi ella ai casi suoi, che per dare retta a lei ho corso pericolo di trovarmi sul lastrico: favorisca di qua...
E condottolo nello scrittoio, aggiunse.
— Veda, io mi sono salvato per miracolo — e così dicendo gli pose sotto al naso uno scritto breve, il quale sonava così:
«Illustrissimo sig. cav. direttore,
Per ordine superiore e per servizio di Stato, metta immediatamente in libertà il signor Sotero B. senza trattenersi a cosa in contrario.
Il Presidente del consiglio dei ministri N...»
Il povero giudice allora, trasecolato e atterrito, interroga il direttore:
- ↑ S’è male preso è ben tenuto.