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capitolo xvii. | 197 |
troppo maggiore egli ne calcava un’altra sotto di se, che sforzava a obbedirgli: umilissimo si prestò ai comandi di Sotero, e tolta la lettera si affrettò portarla al suo destino: avendo per curiosità gettato lo sguardo su la cartolina, lesse scritto: da parte di, e poi stampato: Sotero 5.; per la quale cosa strettosi nelle spalle, mulinava fra se: o costui è pazzo, o qui l’oste ha sotto il gatto.
Di vero accadde al direttore giusto quello che gli aveva presagito Sotero.
Il giudice istruttore il giorno appresso, puntuale meno per la parola data che per la curiosità di vedere la fine della strana avventura, alle dieci e pochi minuti si presentava alle prigioni, dove il suo stupore crebbe trovando Sotero seduto davanti una mensa fornita alla grande, che faceva colazione, il quale, scorto appena il giudice, lo invitò gentilmente a tenergli compagnia, e siccome questi si scusava, egli insistendo diceva:
— Andiamo via, io la consiglio a fare buona provvista di forze, dacchè ella avrà a sostenere meco lunga battaglia e faticosa; intanto ordini al signor cancelliere di allestire carta, penne e calamaio, insomma tutto l’armamentario necessario alla operazione.
Il giudice non abbocca, sicchè Sotero continua sempre in tono dileggiatore, per la qual cosa il giudice stava fra due, se dovesse senza cerimonie