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capitolo xvii. | 195 |
essermi cortese, io le prometto cucirmi la bocca sopra le irregolarità della perquisizione e dello arresto, dove posso trovare materia da farlo cacciare dieci volte almeno dallo impiego...
— Oh! che dice mai? esclamò il giudice atterrito; e Sotero rincalzando:
— Dunque, cortesia per cortesia.
— Ebbene, tra le dieci e le undici le garberebbe?
— Sia come vuole, la prigione è fatta apposta per aspettare, ed io non ho fretta...
— Siamo intesi, tra le dieci e le undici?
— Sì, signore.
Se l’arrestato non era, al malcapitato giudice non riesciva assicurare la sua presa in prigione, imperciocchè il direttore delle carceri si rifiutasse ricisamente a riceverlo, non gli parendo che la cosa procedesse in regola; per levare il vino dal fiasco intervenne Sotero, il quale assicurò il direttore non sospettasse di guai; egli stesso pregarlo a dargli ospitalità per cotesto scorcio di notte, perchè il suo ritorno in cotesta ora a casa avrebbe dato disturbo, ed egli non reggersi in piedi.
— Come così è, rimanga servito — e lo condusse in una celletta bella e apparecchiata, perchè i direttori delle carceri usino tenere allestite le prigioni come i becchini le fosse; tanto da un punto all’altro non può mancare chi le riempia. Fu calcolato che delle creature umane ne muoia per tutto il mondo