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capitolo xvii. 193


non per braveria, o per beffe, bensì proprio di cuore, sicchè il giudice istruttore n’era rimasto più di una volta sconcertato.

— La è cosa da nulla, sa, viviamo in certi tempi, che questo benedetto governo ha paura di tutto, e questi benedetti giovani, bisogna pur dirlo, non cessano un momento di metterlo in orgasmo.

— Capisco, una bagattella da andarmene all’ergastolo a vita: articolo 156 del codice penale. Non è vero, compare? — E così favellando percoteva familiarmente la spalla del giudice. — Pazienza! Ebbene, dov’è il mandato di cattura?

— Eh! essendoci io stesso, che sono giudice, non parve necessario il mandato.

— Che diavolo dice mai, signor giudice! gli articoli 188 e 192 del codice di procedura penale gli ella messi nel dimenticatoio?

— Ma senta, non si tratta mica di condurlo in carcere per un fatto preciso che le venga imputato, bensì per un certo tal quale riscontro che preme all’autorità superiore.

— E qual’è di grazia questa autorità superiore?

— La discretezza, signor mio, capisce bene... non mi permette...

— Io capisco che il nome dell’autorità che ordina la cattura dev’essere espresso sul mandato; dov’ella non me lo dichiari, protesto non venire.

— Via, non faccia da cattivo... stia bonino... tanto