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capitolo xvii. 189


Mel diè il gran Sisto, e il benedisse pria.


(Tiustizia, urlano, giustizia a modo del tremendo Dio degli ebrei; e vuol dire sterminio: a terra dunque i monumenti testimoni di vecchie e nuove tirannidi; dilaghiamo sopra le città maledette una alluvione di fuoco: o che Dio ed i re hanno soli il privilegio d’incendiare Sodoma, Gomorra e Mosca? Anche il popolo ha fame di fiamme come di pane, e non ruba a veruno l’arnese per accenderle.

Di parecchie delle più scapigliate sètte torbidissimo socio era stato Fabrizio; capo non già, che i capi delle congiure ai giorni nostri sono pochi, e non compariscono; quei che si mettono, o lasciano che si mettano innanzi, e’ sono materassi e balle di lana, che gli antichi ponevano penzolone intorno alle rocche per ammortire la veemenza delle palle balestrate dalle bombarde nemiche; e d’altra parte la setta è la tenia di qualunque governo, che lo roderà irrimediabilmente se non arrivi a estirparne il capo, e forse non gli gioverà nè manco questo, perchè il talento di opposizione sia parte inerente alla natura umana, e le cause dell’opporsi non mancheranno mai.

Chi conosce Fabrizio ormai sa se costui nella sua superba presunzione fosse uomo da accomodarsi sincero alla disciplina che vuole gli uomini tutti uguali ed in tutto; costui si buttava in terra come i Titani per cavarne forza a primeggiare su gli altri.