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capitolo xv. 17


ne va a geniale ritrovo di qualche giocondo uomo, ed anche di gioconda femmina, e quivi si lascia un po’ andare. Diavolo! L’arco teso sempre si rompe. Certo cotesti uomini e coteste donne (io non lo vo’ nascondere) non erano stinchi di santo; tutt’altro, ed egli lo sapeva; ma in chiesa co’ santi, e alla taverna coi ghiottoni: a lui bastava gli ricreassero lo spirito. Colà, di mezzo allo stravizio ed all’allegria, scappava talora dalla bocca al ministro uno enimma, un geroglifico, una sciarada, che cotesti sparvierati chiappavano a frullo tirando a spiegarla, e le più volte ci davano dentro; tanto la fortuna li secondava o l’ingegno. Dove mai, puta il caso, avessero indovinato che stava per aria qualche grossa notizia politica, la quale, appena pubblicata, avrebbe avuto virtù di alzare il prezzo della rendita pubblica, eccoli per tempissimo affacciarsi in Borsa e quivi... sentiamo un po’ se cogliete in quello che ci andavano a fare. — A comprare, voi rispondete, e v’ingannate. — No, signori; ci andavano a vendere. Sgomentati, sgomentano: la rendita tracolla: gagnolano e spariscono; altri subentrano, paiono diversi e pure sono fili dei medesimi ragnateli: questi fingono svogliatezza e paura: il numero dei venditori, pecoreggiando, cresce, e nell’orecchio si vanno mormorando a denti stretti: meglio è cascare dalle scale che dalla finestra; e ti sbatacchiano in faccia la rendita a gran rinvilio.