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16 il secolo che muore


il libro, letta e considerata la prefazione, si fregò sorridendo le mani, e disse: a questo oremus starebbe bene mettere in fondo, per amen: «imbecille».

Il ministro sgallina negli appalti, intinge nelle forniture, rosicchia nelle ferrovie e in simili altri negozi; ma non piglia mica mance. Dio ne guardi! Da ciò lo tengono lontano la coscienza, e un poco altresì la memoria dello scappuccio accaduto al Teste, ministro di quella perla di re che fu Luigi Filippo. Il ministro, tutto al più, pregato e ripregato, consentirà a stento che nei consigli di amministrazione entrino fratelli, figli, generi, cugini, biscugini e cognati, insomma tutti i suoi congiunti in linea retta e trasversale fino al quarto grado inclusivo: ma, a fine dei conti, o che ci ha da fare egli? Forse non sono essi padroni di governarsi a modo loro? Il ministro potrà, alla più trista, indursi a vendere ai concessionari una sua boscaglia, dieci volte più di quello che costa, ma gli è chiaro come l’acqua che questa vendita non entra per nulla nella strada ferrata, nè manco come appendice o corollario; in vero, la macchia è di legno e la ferrovia di ferro; e poi, o chi ha vietato mai, e volendo lo potrebbe, ai ministri di fare i loro affari e farli bene? Le sono grullerie da dormire ritti.

Il ministro altresì, in capo al giorno, ha mestieri di sollevarsi un’ora o due: o chi sarà l’indiscreto che ci trovi a ridire? Verso la mezzanotte egli se