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capitolo xvii. | 169 |
— E chi ti para?
— Come! Che avete detto?
— Io? Dico quello che mi hanno insegnato le sacre carte: pulsate et aperietur vobis; chi cerca trova. La tua promozione e la insegna di cavaliere mi furono promesse; però a patto che dovessero servire di compenso a qualche segnalato servizio da te reso al governo, e fino ad ora la fortuna non ti ha fatto gli occhi dolci; ma, caro mio, buona cura vince sventura: perchè non ti sei tenuto bene edificato il ministro? Perchè non t’insinuasti fra i suoi familiari? Bisognava tu t’industriassi a entrare in grazia a taluno di casa sua; noi principii non bisogna stare sul doge; innanzi di celebrare le messe si servono: tale, ricordati, entrò in palazzo per la gattaiola, che poi all’uscirne non gli bastò gli aprissero le porte a due battenti... ma adesso, lo vedo anch’io, mi sembra tardi... siamo con le spalle al muro... tanto è, mi proverò a toccarne di nuovo al ministro... ma anche tu, vedi, avresti a fare una cosa... dovresti... mandare... anche a nome mio... a sollecitare... il ministro... la Bianca.
— La... Bianca?
— Sicuro, o che ci trovi tu di sperpetua? Forse non ci vanno tutto giorno a frotte le principali gentildonne del regno?
— La Bianca!
— Già, caro mio, la è cosa vecchia, che quando