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capitolo xvii. | 167 |
io non possiedo in questo mondo un becco di quattrino; nell’altro non credo averci fatto troppi avanzi. Però io non te lo tacqui; tu non potresti dire onestamente che ti abbia posto di mezzo: ci dovevi pensare prima di metterti in mare; senza biscotto non si naviga, nè tu eri un pargolo da ignorare come stia la cuffia a Crezia, e assai praticasti la Bianca per prendere di lei conoscenza intera: questo ti ho voluto dire per rammentarti che io non ti piantai dinanzi il dilemma: o mangiare questa minestra o saltare questa finestra, non già perchè valga a levare un ragnatelo da un buco. — Mettiamo dunque in sodo, ch’io non posso sovvenirti in nulla; — e non lo devo: non mi fare bocchi, Fabrizio, che io te lo provo. — Con l’onorario di presidente e trovandomi solo, su per giù alla meglio me la sgabello da pari mio: ora figurati ch’io te ne dessi un terzo; che ne avverrebbe? Patirei io, non solleverei te: scomparirei io e non compariresti tu; e poichè uno di noi altri due deve stare allo stecchetto, io, dal mio punto di vista, ho ragione a volere che ci stii tu; e ciò con tanto maggior fondamento, in quanto che dipenda proprio da te volerci stare, perchè pretenderesti che le beccacce ti volassero intorno alla mensa belle e arrostite coi crostini sotto l’ale e la salsa in un cestino nel becco!
Ah! tu presumi che ti vengano a profferire fino