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152 | il secolo che muore |
nistri: dopo aver dato sesto ai nostri affari, egli mi ha chiesto nuove di te.
— Di me? Proprio di me?
— Già, e me ne ha parlato in termini eminentemente lusinghieri: io, che ti sono babbo, vedi, non avrei detto meglio, e così, passando dal lesso all’arrosto, ha deplorato che il tuo bellissimo ingegno si strugga nell’avvocare volgari cause private, oggi segno di fastidiose importunità, domani buttato là nel dimenticatoio, sempre traballante sopra un terreno che ti vacilla sotto: vita di avvocato vita di giocatore di pallone, di fantino di circo equestre, di funambolo; levante stentato, mezzogiorno pomposo, tramonto in soffitta, quando va bene; se no allo spedale. Codesto non è il suo posto; egli dovrebbe prendere parte nel governo, dove per poco la fortuna lo assistesse non potrebbe mancare di giungere a grado sublime.
— Il signor ministro ha detto proprio così?
— Così proprio; io non ti ci metto su sale nè pepe... se io fossi nei tuoi piedi, senza gingillarmi tufferei il cappone che la Provvidenza mi manda dentro la pentola a bollire.
— Eh! non lo nego: la proposta potrebbe forse convenirmi, se non fossero i principii politici da me professati fin qui, i quali mi attraversano la via; il meno che me ne verrebbe sarebbe sentirmi tacciato di carnaccia venduta.