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capitolo xvii. | 145 |
— Questo è il bello... si affrettò ad interrompere il presidente, il quale non potè astenersi da pensare: Poveri noi, se invece di conoscerlo sì poco da parergli non conoscerlo, lo avesse conosciuto a fondo! Combattere i nemici co’ soldati che abbiamo fatto disertare dalle loro bandiere: noi altri ripetiamo in curia il dettato non sunt sumenda arma e domu rei, ma quando lo possiamo fare, ci sembra andare a nozze.
— Non sempre, massime quando i disertori sono giovani, spesso tornano ai primi amori, li sperimentiamo presuntuosi, indisciplinati e specsso soggetti a pentimento: in ciò non siamo sicuri nè anche dei vecchi, perchè consideri, signor presidente, anche Giuda rese i danari e s’impiccò.
— Da quel fatto in poi corrono milleottocento e non so quanti anni; il mondo ha camminato, e di coteste corbellerie non se ne commette più; ne V. E., così sapiente nelle arti governative, vorrà negarmi che il tirare a sè i soldati dal partito avverso non ci getti lo sgomento; lo scredita fuori di misura, uno piglia sospetto dell’altro, la paura entra in tutti i cuori, sicchè, quando pure non approdasse per le forze che porta, ci tornerebbe sempre utilissimo per le forze che gli leva.
— Ci è del vero nel suo discorso... non nego che ci sia del vero.
— E poi io l’accerto che mio genero non è pasta