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capitolo xvii. 143

dell’orlo minacciava traboccare: alla chetichella almanaccarono volgere petizioni al ministro; non bastando, alla Camera; scarse da prima le firme sotto le petizioni, e tirate con le tanaglie, ora venivano giù una dietro l’altra come le ciliege: però se in questo tramestio fosse tutta invidia, veruno poteva saperlo meglio del Vinneri, a cui la coscienza, come fa lo stomaco per indigestione di fortumi, arcoreggiava: di fatti, date le spese al suo cervello, capi che bisognava portarci rimedio piuttosto oggi che domani, onde chiesta ed ottenuta subito udienza dal presidente del Consiglio dei ministri, il quale in quel momento reggeva nientemeno che tre ministeri, dopo ricambiatesi dall’una parte e dall’altra accoglienze affettuosissime, imperciocchè da molto tempo costoro si conoscessero ed avessero imparato a stimarsi come meritavano, il Vinneri parlò:

— Eccellenza, io vengo a proporle un affare di oro, un acquisto proprio co’ fiocchi, da crescere la reputazione al governo, e per conseguenza a lei che tanto saggiamente lo dirige.

— O sentiamo, via, che cosa ci porta di bello, — rispose il ministro dandosi una fregatina alle mani.

— Ecco; ha ella sentito mai, eccellenza, tenere proposito del mio genero Fabrizio Onesti?

— Mi pare...

— Giovane di eloquenza smagliante, di studi pro-