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capitolo xvii. | 139 |
e portare a lui. La società teneva le veci della scarsa forza utile a mettere in moto la macchina; la macchina poi spettava in assoluta proprietà al Gasperi. E continuava con un viperaio di sofismi su questo gusto.
Fabrizio vinse la causa, e se ne fece un gran dire: prima nella curia, poi nella città. Pretesto pei curiali allo sbottonare indefesso e crudele l’amore per la giustizia; ma figurarsi: alle brutte passioni agitanti cotesto anime male si mesceva quella nobilissima come il fiore di arancio nell’olio di ricino per farlo ingozzare senza stomaco; insomma più che tutto li struggeva la invidia, che il vento tirava in fil di ruota nelle vele a Fabrizio, e da per ogni lato diluviargli addosso grassi negozi, mentre essi anfanavano per non parere, ma in somma pescavano pel proconsolo; portavano lo stuzzicadenti in bocca per dare ad intendere che avevano pranzato, ma erano digiuni. Sottile da principio, secondochè usa, più strepitosa inseguito, violentissima all’ultimo prese a rimuginare una voce, che Fabrizio fosse giunto a spuntarla inducendo il Gasperi a dare l’ingoffo al Vinneri di ventimila lire.
Cotesta voce, quanto a Fabrizio, era calunnia pretta, imperciocchè ben egli si trovasse pur troppo su l’orlo, ma dentro al pozzo non ci fosse anche cascato: rispetto agli altri due bisogna con-