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capitolo xvii. 127


Quando Bianca tornò in camera al padre si pose a piè del letto levando il dito, quasi per ammonirlo, ma l’altro non la lasciò nè manco cominciare:

— Sta’ zitta, egli disse, io non so più mezze le messe; e sì che mi era accaduto più volte, che per cuocere troppo presto la torta i’ l’ho bruciata. Ho fatto come i bimbi quando tirano su un castello di carte, i quali nel metterci a vanvera il tetto rovinano ogni cosa.... ma veniamo al grano.... ritorna?

— Se ne discorre nè meno! rispose la fanciulla con tale un gesto di superba sicurezza, che non gli legherebbe le scarpe quello di Napoleone, quando, buttato all’aria il cannocchiale, esclamava: — La vittoria è mia!

— Va’, tu meriti una statua equestre, — ed aggruppate le dita il presidente colse sopra le proprio labbra un bacio e glie lo gittò.

Di fatti, dopo due sere Fabrizio rivolò a tiro di ale al dolce nido, dove si trattò senz’altro lungaggini di nozze. Cari miei, con fanciulle sparvierate, e babbi lesti, l’Amore, voglia o non voglia, è mestieri che entrato subito in barca agguanti il timone, e sciolte le vele al vento drizzi la prua alle rive del Sacramento, che non è quello di California, bensì dal santissimo matrimonio.

Io non dirò, che forse non direi il vero, che tra