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capitolo xvii. | 125 |
patria comune, chi piglia la più breve, chi la più lunga, chi va per la strada maestra, chi per tragetti; la differenza sta nel metodo: se ci fosse dato potere giudicare per l’affetto, non per l’effetto, tale leviamo a cielo che condanneremmo a dieci anni di galera, e viceversa. Siamo alle solite: fine della vita è godere; la cottura e la salsa non fanno vivanda, sono arti del cuoco. Belle, in fede di Dio, le aspirazioni magnanime della gioventù italiana! Ogni dì vediamo qualche repubblicone dei vostri dare il tuffo nella monarchia, a mo’ dei gabbiani nel mare per buscarvi una sardina; almeno i gabbiani, agguantato il pesce, ripigliano il volo in su, mentre i vostri repubblicani nel dare il tuffo perdono l’ale. Che montano tante smorfie? Fate addirittura come noi, non fosse altro avrete il merito della sincerità. Io, professandomi servitore umilissimo della monarchia sabuada dall’a fino alla zeta, mi scappuccio a tutto l’alfabeto monarchico costituzionale, quantunque in una cosa mi muova la stizza, e mi basterebbe il cuore per dirgliela in faccia; ella ficcando sempre gli occhi nel buio della parte sinistra arriva a scoprire qualche bagliore, che crede torcia, ed è un lume a mano; allora mette in opera ogni suo studio per farlo suo, ma nel moverlo le si spegne, ed ella s’impuzza di moccolaia.....
Fabrizio, sentendosi vicino a dare nei lumi, giudicò opportuno levarsi, e tolto con viso acerbo com-