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capitolo xv. 9


dacchè, quando acceso dalla rôsa di mordere li spalancava.... misericordia! — rassomigliavano, nati e sputati, quelli del pesce-cane. La scienza, lo dice lei, ha trovato che, novantanove su cento ci è da scommettere che l’uomo nasce dal gorilla o dall’urang; per me penso che, una volta rotto il diaccio e messo in sodo che i progenitori nostri furono bestie, si deve negare recisamente ch’essi appartenessero ad una specie sola, e sostengo che per parecchi di noi il vero Adamo dev’essere stato un pesce cane. La faccia di Siila, si legge, che pel colore rassomigliava ad una mora aspersa di farina, quella di Marat al fimo di vacca chiazzato di sangue, questa di Egeo alla vinaccia sbrizzolata a bottoncini neri, come un lavoro di mosaico; il naso, un grumo di mosto, e vi so dire che se lo avesse esposto all’incanto, gli osti se lo sarieno conteso a colpi di boccale per metterlo d’insegna alla cantina; la bocca dava la immagine vera di una gramola lasciata mezzo aperta con un lucignolo di canapa dentro; costui si lisciava, pettinava e ungeva perpetuamente, si lavava poco, sicchè gli durava perenne in cima alle ugne un orlo certo meno amabile, ma non però più nero del collarino che circonda il collo alle tortore.

Questo per ciò che spetta al corpo; e non è tutto, che il meglio resta per via; donde venisse pende incerto; taluno afferma di Nuoro, ed aggiunge che lo notizie storiche intorno alla sua famiglia ed a