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capitolo xvii. 107

Timidi e pochi amici aggiunge al vero
E al vivere civil sempre è molesto.1

Le voci distinte confonde in accordo quando si tratta d’inneggiare ghiottornie, lascivie e stravizi, onde s’imbestia la vita. Catoni quando non possono farla da Aristippi, cinici sempre. Leggete le scritture loro: dove la virilità dei concetti? dove il prudente discutere? dove il solerte investigare? Invece di sentenze, motti da taverna; sensi da far vergogna al bordello.

E pure il sentire generoso, gli studi sapienti, il forte operare e le parole sante, indispensabili alla conservazione delle repubbliche, appaiono necessarie alla impresa, piuttosto che umana, divina, di rigenerare un popolo e cavarlo dal sepolcro per riporlo in soglio.

E se così argomentasse la gioventù italiana, i versi eccelsi di Francesco Petrarca, che fino ad ora vagarono per la Italia cercando un luogo dove fermarsi, troverebbero sede nella fronte di lei:

Che puoi drizzar s’io falso non discerno
In stato questo popol doloroso
Quanto ti fia glorioso
Dir: gli altri l’aiutâr giovane e forte,
Questi in vecchiezza lo salvò da morte.

Peggio che ingiustizia sarebbe negare che molta, non tutta, di questa gioventù adoperò ferocemente

  1. F. Pacchiani, da Prato.