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canto all’altro; poi prese una rincorsa piantando ambidue, e in meno che non si dice un credo, mentre Filippo pur troppo sospettava essere abbandonato (la sventura, quando si maritò col bisogno, per primogenito partorì il sospetto) rideccoti comparirgli dinanzi Curio con un palmo di lingua fuori, carico di berlingozzi, bocce di liquori e di due fiaschi di vino.

Però Curio, andando alla volta di Filippo, mirò da lontano una cosa, che gli mise la pulce dentro l’orecchio, senza che ei potesse rendersene ragione. Filippo si era tirato in grembo il soldato, e sciorinando su lui il fazzoletto olim- bianco, gli rinfrescava il capo riarso, gli cacciava le mosche, e di ora in ora lo andava dolcissimamente baciando. Il bene è sempre bene, diceva Curio fra se, ma i troppi amen guastano le messe. Filippo stese ansioso le mani a ciò che Curio gli porgeva, ma non sì tosto lo ebbe guardato, esclamò:

— Ohimè! Curio, che è questo che tu hai portato? acqua, acqua... tu me la vuoi far morire?

— Hai ragione, soggiunse Curio, e via da capo a precipizio; tornò in un attimo coll’occorrente, ma anco per questa volta riuscì il sussidio inefficace, però che il giovanetto vagellando sbattesse smanioso di qua e di là la testa. Filippo mandava giù dalla fronte a quattro a quattro le gocciole del sudore; in cotesto punto, non sapendo che fare di