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capitolo x. 45


Nel giorno stesso il capitano La Marmora faceva sapere all’arciduca Alberto, che avrebbe messo mano alle armi tre giorni dopo la data del manifesto, lasciando in dubbio se il 23 o il 24: difatti doveva intendersi il 24, perchè il giorno che incomincia il termine non si comprende nel termine; invece egli principiò il 23, e questi mi paiono ganci diritti e gherminelle a uso Oudinot, cosicchè il capo di stato maggiore John rilevò il tiro quasi per uccellare il capitano La Marmora. Il fine della battaglia di Custoza certo fu dare comodità al Cialdini di traghettare il Po e stabilirsi sopra la sinistra sponda di quello: ora considera se si poteva far peggio; il Cialdini prima del 26, per quanti sforzi ci adoperasse, non poteva essere pronto a

    tiche in tutte le parti della Camera!» Quindi nulla manca a farlo detestabile: turpitudine di locuzioni stranieie, barbarie di dettato, errata assimilazione di sangue e di fatiche da spargersi in tutte le parti della Camera! Nè afiche un montanino di Garfagnana si attenterebbe menare tanta strage della lingua e del buon senso, Erat in fatis, che la monarchia in occasione tanto solenne si commettesse a due sciagurati come Ricasoli e La Marmora. Quali l’ingegno, le opere, la fama di costoro? — Si predicavano avversi al popolo, avversi ai volontari, e tanto bastò. Così in grazia del partito moderato e dei suoi uomini, noi abbiamo perduto tutto, fino la reputazione dello idioma, che sola ci rimaneva conservata in mezzo alla secolare molteplice tirannide. La Camera applaudiva: un giorno ella sarà giudicata severamente senza circostanze attenuanti, perchè gli applausi avvennero in giugno, mese di già copioso di proietti vegetali. Per questa guisa il governo d’Italia, se fu argomento di molti sospiri, infinito si attirò eziandio il riso della gente stupefatta.