Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
396 | il secolo che muore |
ghiera.... che vi dirò? La vostra anima ve ne rimeriti.... altri si desolano più infelici di me.... sovvenite quelli.... E con siffatto pretesto ricusava.
Il dottore non sapeva capacitarsi come Isabella avesse sopperito alle spese del mortorio, ma di corto ne fu chiarito, non vedendo più agli orecchi delle donne i pendenti conservati fin lì.
Isabella pertanto, verso sera, una sera triste e per giunta piovigginosa, si condusse dal solito marmista per commettergli una solita lapide col solito motto «dolor».
Il marmista, fissaudo gli occhi sopra la faccia bianca, marmorea d’Isabella, n’ebbe paura; onde esitando le domandava:
— Ma sapete, donna, quante di queste lapidi voi mi avete ordinato fin qui?
— Se lo so! se lo so!.... Sono sei.... e non finiranno qui.
Il buon maestro sentì entrarsi addosso il ribrezzo della febbre quartana, ma lo esorcizzò con un litro di nebbiolo: fece la sesta lapide, e tutto tremante sopra la sesta fossa l’adattò. Tornato a casa e riconfortatosi col medesimo argomento del nebbiolo, si mise dinanzi un foglio spiegato, che era liscio, ma per voglia di lisciarlo vie più ci passò sopra la mano, e tutto lo sgualcì; poi, impugnata la penna col garbo che adoperava lo scarpello, scrisse la seguente lettera: