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capitolo xiv. | 339 |
sentano quasi la bestemmia. Qual giusto potrà dire: io non ho meritato la penitenza che Dio mi ha imposto? Scusi, ma si attenterebbe ella a sostenere giusti i suoi figliuoli? Tutte l’erbe, cara mia, si conoscono dal seme, e per me veruno mi leva di mente che chi tal semina tal raccoglie. La società ha diritto di vigilare sopra se stessa, perchè veda, cara mia, le leggi non sanno fare altro che punire la colpa commessa, mentre a noi, principali interessati nell’ordinato vivere civile, preme anzitutto che la non si commetta; però appartiene capitalmente a noi, ed ai religiosi di santa vita, vigilare con lo apostolato delle parole, e più delle opere, che i traviati precipitando dal vizio nel misfatto non vadano a popolare i bordelli e gli ergastoli.
— Ecco, gli ugnoli della gatta si manifestano nella pienezza della loro gloria!
— La natura, che diede l’ira al verme stesso, fece sì che la mia pazienza, gittati gli argini, diventasse furore, onde con voce turbata le favellai: Signora, ella è in casa sua, e non fosse altro che per questo, avrebbe dovuto come gentildonna astenersi di trafiggere il cuore di una madre abbastanza desolata. Qui non venni per garrire, bensì per ripigliarmi la figlia. Si compiaccia pertanto di ordinare alla priora del ricovero che me la renda. Se sì, io gliene professerò riconoscenza: se no, duolmi avvertirla