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328 il secolo che muore


Non sempre però Marcello si era rassegnato a tenere china la faccia: all’opposto, sentendosi un di l’anima fornita di filosofia, e di salute il corpo, ardiva levarla in alto e lottare contro il destino: gli accadde come a Giacobbe; i fati e gli angioli non patiscono contrasti, e al pari di Giacobbe fu tocco, e rimase inaridito.

Certo giorno gli parve che, di sotto all’unghia di qualche dito della mano destra, gli entrasse un rettile diaccio nelle vene e gli corresse su dal gomito alla spalla, gli si avventasse al collo, glielo stringesse e con violentissime scosse tentasse svitargli il capo: allora cervello, occhi e tutti i muscoli della faccia gli si raggrinzarono; perduta la conoscenza, stramazzò cacciando faori dalla bocca alito fumoso e schiuma; arrotava i denti così, che venne a scompaginarli tutti, ed alcuni ne cacciò via dall’alveolo; la lingua gli si sparti in due a modo dei serpi. Neè qui rimase, che dopo l’epilessia sopraggiunse la paralisi, tartassandolo in maniera da non riaversi più.

Ora poi accade di rado che egli ardisca levare il volto in su; troppo tardi: doveva pensarci prima; quando ti capita addosso una scionata bisogna sapersi aggomitolare in tempo: quando il cielo insanisce, non vuole essere guardato, molto meno provocato; terribili le ire di lui; egli ti flagellerà con la grandine, e se non basta t’incenerirà con la folgore.