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capitolo xiii. | 323 |
si calò il velo sugli occhi, e con voce bassa,
e al punto stesso alterata, porgendo ad Isabella
un piccolo portafogli sussurrò queste parole.
— Da dama onorata le giuro che questo danaro è suo.... che non monta neppure alla cinquantesima parte di quello che la infelice Eponina donò alla mia casa
E più non potè dire; strinse la mano ad Isabella e si allontanò, sentendosi incapace a sostenere più oltre la dura prova.
Certo la contessa Anafesti operando a cotesto modo compì il suo dovere, e non in tutto; pure, chi voglia considerare la superbia, infermità ordinaria dei nobili, e i pregiudizi della infelice loro educazione, dovrà convenire che cotesto sue parole furono veramente sublimi; almeno così parvero, per quanto ho sentito dire, al suo angelo custode, che cavatasi dall’ala una penna nuova, le scrisse con quella nel libro delle buone azioni della contessa per mostrarle poi, in punto di morte, come viatico di conforto allo eterno viaggio.
In questa guisa fu dato alla Isabella sopperire alla traslocazione delle reliquie della sua figliuola a Milano, dove la depose nel camposanto comune: non monumento, non lapide sopra la fossa di lei; distingueva le sue dalle ossa altrui una semplice tavoletta di marmo, dove si leggeva segnata una parola sola: «Dolor!»