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318 | il secolo che muore |
che vi contentate dell’onesto: datemi quello che mi potete dare e fate presto.
Così parlò la signora Isabella, entrata in bottega a certo orafo dei principali di Torino, mettendogli in mano l’anello che si cavò dal dito.
L’orafo, poco uso a codesti modi rotti, guardò la donna e le parve, come pur troppo era, una figura strana, poi guardò la gemma, riguardò lei, e diede in uno scoppio di riso; all’ultimo disse:
— Credeva possedere una faccia sola, ma sembra che stamane taluno mi abbia prestato la faccia di scimunito.... e sarà coljpa la barba lunga. Per chi mi avete preso, tocco di cialtrona? sta’ a vedere che io non sappia più. distinguere i diamanti dai culi di bicchiere? Via di bottega.... imbrogliona.... e ringrazia Dio che non ti denunzio alla questura.
La Isabella, comecchè si sentisse abbattuta dal prepotente infortunio, pure non era femmina da succhiarsi in pace cotesta carta d’ingiurie; quindi replicò risentita:
— Voi siete screanzato, e a quanto sembra imperito della vostra professione: buon per voi che altri pensieri mi turbano; altrimenti ve la darei bene io la questura.
Al gioielliere parendo essere soverchiato a torto, perfidiava più riottoso che mai, e con voce incollerita ingiuriava la povera Isabella che stava per averne il danno e lo strazio.