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316 | il secolo che muore |
Isabella percossa da nuovo dolore abbassa gli occhi, si vede in dito il magnifico solitario, dono dello zio Orazio, di sempre cara ed onorata memoria; riprese animo nella certezza di far quattrini, onde levò la faccia dicendo con garbo signorile al sopracciò:
— Voi intendete, signore, come l’affanno che mi travaglia mi renda inetta a questi uffici; siatemi cortese di compirli per me; intanto vado a procacciarmi la moneta necessaria; — ma di un’altra cosa io vi vorrei pregare, ed è che pigliaste in custodia questa ragazzina fintanto che io non ritorni.
— Vada, signora mia, e viva tranquilla che la lascia in buone mani; la condurrò in casa al parroco...
— Parroco! Preti!.... Oh! no.... via preti.... voi non sapete che cosa siano i preti.... vien qua, fanciulla mia; — ed in così dire la Isabella tremava a verga.
— La non si rimescoli, signora.... oh! capisco anch’io.... ma, sa, succede fra i preti come a quei di Lucca, ce n’è dei buoni e dei cattivi....
Isabella agguanta il sopracciò pel petto, strabuzzando gli occhi, e gli domanda:
— Sei forse prete?
— No, signora.... in coscienza, no.... no davvero davvero.
— Se non prete, qualche cosa che appartenga a prete?