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302 | il secolo che muore |
ineffabile conato, e tenta di nuovo. Le fauci le si sturano, sì, ma non per dare adito al canto, sibbene ad un profluvio bollente di sangue che le trabocca dai labbri e dalle narici. Una immensa luce abbarbagliò Eponina, seguita immediatamente da una immensa tenebra; mosse precipite due o tre passi in avanti, le braccia stende, e con le mani annaspa come il naufrago presso all’ultimo tuffo, poi giù di sfascio, ammaccandosi in molto pietosa maniera la fronte e il naso.
Accorrono a sollevarla.
Eponina tiene gli occhi spalancati e fissi, come vetro lucidi; la faccia e il seno tutti sordidi di sangue, la bocca tonda; i muscoli dello intero suo corpo, massime quelli della faccia, contratti così, che bene appariva la morte tenerle gli artigli fìtti nel capo come uccello di rapina.
Il mare della platea si rimugina daccapo in burrasca; confusi s’intrecciano i gridi: — È svenuta! è morta! Che morta! La ragia si conosce lontano un miglio; non vuol cantare...
Dai palchi vedonsi spenzolare dove tre e dove quattro donne, abbracciate insieme come le api quando fanno i grappoli; gli uomini anch’essi smaniosi di chiarirsi, s’industriano a farsi largo per vedere, ma le donne, api stizzite, li cacciano addietro a mo’ di fuchi; invece di pungiglioni, gomitate da rompere le costole.