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capitolo xiii. | 299 |
il proprio sposo con la rivale; ella raccolse quanto più potè di vita da tutto il suo essere, e con tuono di voce che commosse dal profondo le viscere di quanti l’ascoltarono, incominciò a cantare:
Or sei pago, ciel tremendo, |
Suo intento fu radunare un nembo di applausi e di fiori, e gli uni e gli altri sospingere contro la pallida ed ormai trista anima del novello diplomatico, e soffocarcelo sotto: supplizio usitato a Sibari.
Maraviglia immensa eccitò cotesto canto, imperciocchè la musica non avesse mai palesato la passione umana in modo così disperatamente verace; la disperazione armonizzata, balenava simile al fuoco che guizza fuori della nuvola in procinto di rovesciare sulla terra una procella di folgori; però insieme a maraviglia, la gente si sentiva compresa da paura: qualche cosa di sinistro temeva avesse a tener dietro a cotesti sforzi, i quali, superando ogni termine del naturale, ritraevano del portentoso.
Quando Eponina cessò il canto, la gente sbigottita tacque irrequieta; così, stando sopra l’estremo lido del mare, vediamo da lontano comporsi il volume del cavallone, che irromperà poi ad allagare la spiaggia: all’ultimo, gittati giù gli argini, i plausi e le grida mandarono sottosopra ogni cosa. Se in quel punto i corvi avessero volato traverso