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capitolo xiii. 277


giorno egli la volle picchiare, ed ella, non trovandosi altro da vicino, gli frombolò mezzo pane, che teneva sotto il braccio, nella testa e scappò via, piantando il vecchio ghiottone che campava alle sue spalle e le lesinava il vivere; si mise sola pel mondo e girò, girò stentando, finche non capitava alla casa dalla sua cara mammina e con lei voleva vivere e morire, ma le coceva di sapere che ne fosse dell’altra mamma da lei lasciata a Milano, la quale, vedendola tanto tardare, per certo stava in pensiero; e poi, o vivere lì, o in Milano tornava lo stesso? Natalizia non passava di che con questi od altri simili discorsi non facesse divampare nella Eponina più intenso il desiderio di tornarsene in grembo alla propria famiglia; e perchè non ci si sarebbe presentata con fiducia? Passi dei quali doveva pentirsi ne aveva fatti anche troppi, ma da arrossire, veruno: e se per sorte l’avessero reietta, ella, consolandosi di non avere meritato tanto rigore, avrebbe provveduto ai casi suoi, ritraendo dall’esercizio della propria professione il modo di vivere.

I romanzieri, quando si mettono a frugare nel cuore umano, procedono nella stessa maniera dei filosofi moralisti, non mica con norma sicura, bensì a tastoni, per via di congetture, e però certi di cercare con coscienza, non già di trovare con certezza; per la qual cosa, tirando ad indovinare, dico probabile che l’amore di Eponina verso Natalizia