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capitolo xiii. | 273 |
di consegnargliela in proprie mani; cosa ch’ella faceta; ed in così dire gliela porse.
Al principe diede un tuffo il sangue, e come presago di qualche malanno si trasse nel vano di una fmestra, dove aperta la lettera lesse:
«Signore!
«Mirate bene chi vi porge la lettera e poi mirate chi ve la manda, e comprenderete inutile ogni altra parola, salvo la preghiera che vi faccio, di scordarvi di me: riunite con tatto le potenze dell’anima i vostri affetti sopra la moribonda, per renderle, se è possibile, lieta, o almeno non trista l’aurora che sta per incominciare la sua giornata immortale.»
«Eponina.»
Il principe si ridusse a balzelloni nella sua camera, dove postosi a meditare sopra l’atrocissimo caso, tanto dolore lo vinse che cadde a terra percosso da accidente di gocciola; non morì, che solleciti rimedi e gagliardi lo riscattarono dalle granfie della morte; non tutto però; gli rimase la bocca storta, il braccio manco penzoloni: anco il piè sinistro strascinava malamente per terra: risensato, seppe la moglie morta, Eponina sparita: a queste notizie buttò giù la faccia sul petto, grugni e parve sprofondare nella demenza.
Eponina con i suoi servitori, camminando come