Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
268 | il secolo che muore |
— Orsù, Eponina, sentite: dacchè così volete, io cesserò vedervi... io sospenderò di amarvi... ma ad un patto... che voi vi leghiate con giuramento meco, di sposarmi quando piacerà a Dio chiamare a so la signora principessa mia consorte.
E non ci è rimedio; neppure il senatore Casati se ci pensava un mese avrehbe saputo accozzare tanti spropositi, quanti costui ne mise insieme in un minuto.
Eponina riscotendosi si trova presso l’uscio della stanza; allungato il braccio agguanta la maniglia, e voltasi al principe con voce alterata gli favellò:
— Dunque sono io tal donna da non potere diventare moglie di un uomo, se prima non figuro scheletro a piè di un catafalco? Amore egregio davvero quello del principe Platow, il quale non sa offrire per talamo che un cataletto!
E aperto l’uscio, scomparve.
Eponina, pensando ai casi suoi, considerò come il partito che le rimaneva migliore stesse nel partirsi da Pietroburgo più presto che le fosse stato possibile; molto più che oggimai veruna causa la trattenesse in cotesta città; però le si fece sentire il bisogno di adoperare straordinaria cautela, che la passione del principe le parve pur troppo di quelle che stanno a un pelo per diventare frenesie, al quale effetto, deliberata di valersi dell’opera della sua cameriera russa, serva affrancata di sulle terre