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capitolo xiii. 259


mia. — In breve ella l’adornerà di tutte le bellezze con le quali l’amante scialacquatore inciela la sua innamorata, e si struggerà per lei. Ch’è mai la morte? Troppo meno che passar l’uscio di casa. Se Seneca sentenziò giusto allorchè disse: — vita beata esser quella che alla sicurezza accoppia perpetua tranquillità, — si comprende di leggeri che la morte è la vita, la vita la morte.

Affermano che anche la statua di granito di Mennone al raggio del sole crepitasse; qual meraviglia dunque che anco il russo Platow si sentisse preso dalla consuetudine del giocondo conversare con Eponina? — Importa sapere come cotesto signore possedesse, o a meglio dire fosse posseduto da tre vizi o peccati, secondochè ti piaccia chiamarli; era superbo, era bigotto, era furioso; superbo come un bojardo, bacchettone come un vecchio moscovita, stizzoso come un orso dei suoi paesi; le quali tre cose mi è piaciuto distinguere, per sospetto che il lettore non me ne facesse tutta una matassa. La superbia lo teneva per le falde affinchè non si lasciasse andare alla passione per femmina plebea, e di giunta cantante. La religione gli metteva davanti agli occhi, quattro volte al giorno ed altrettante la notte, Moisè in procinto di rompergli le tavole della legge sul capo, in causa di quel tale comandamento che si occupa della fede matrimoniale; la collera finalmente lo scombussolava col