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258 il secolo che muore


tempo, consumandosi, non mi ha giovato ad altro che a misurare lo spazio che mi approssimi alla morte.

Infatti ella aveva spento troppo più che un amore: aveva svelto dall’anima sua la facoltà di amare ed io fermamente credo che il verace amore, perduto che abbia una volta le penne, non ripiumi più; ed ora che l’alito di amore aveva cessato spirarle dintorno, le membra e lo spirito di lei languivano nella inerzia: non più il balenio negli occhi, non più squillo nella voce; bella sempre, ma a modo della camelia, fiore senza odore. Lo stato in cui ella adesso si versava non ritraeva punto da quello deplorato dal Parini, voglio alludere alla miseria di persona dabbene, la quale invischiata dentro laido affetto, lo conosce, lo abbomina e tuttavia non sa districarsene; ella non si doleva già avere bandito Ludovico della sua vista e dal suo cuore, anzi anche avesse potuto non lo avrebbe richiamato; se le fosse venuto dintorno, ella daccapo gli avrebbe detto: — Fratello, passa per la tua strada, il mondo è largo per tutti. — Ma con terrore sentiva avere costruito il rogo alla facoltà di amare, e di avervi con le proprie mani appiccato il fuoco; e dal rogo non rinasce altri che la fenice. Ormai tutto le rincresce:

Che un’immagin di amor non vi si mesce;


e quando invoca la morte ella chiama: — Madre