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capitolo xii. 253


entrati nel sepolcro, e agitate le mani con isforzi impotenti per vivere, e guaite come i bambini, imperciocchè voi non sapete trovare presso la tomba altro che i vagiti abbandonati nella culla. Noi, noi cogliamo la luce dagli astri, il profumo dai fiori, le brezze al mattino, la dolce aura alla sera, i colori alla terra, al cielo, al mare, alla levata ed al tramonto del sole; il più ardente sospiro allo amore, la più candida preghiera alla fede, la lacrima alla tenerezza, il bacio alle labbra della madre, il grido di cui combattendo per la patria si sente ferito nel cuore, i palpiti del vasto petto dei magnanimi, i gaudi della libertà, tutto quanto lo universo in sè comprende di bello e di sublime, e a modo di erbe dai sughi portentosi noi lo pestiamo, lo stilliamo, lo riduciamo in quintessenza, di cui una stilla sorbita basti a fulminarci di piacere. Forse non vi hanno veleni capaci di tanto? E se la natura possiede sostanze di tanta potenza nel male, perchè si sarebbe diseredata di altrettali sostanze potenti di bene? Ora tu, povera creatura, che hai fatto, e che faresti in seguito accanto a me? Ogni atomo della mia vita entrerà come una spina nella tua, i miei detti ti lacereranno, i miei gesti ti scotteranno: umiliato, sbigottito, sottosopra travolto, a te altro non rimarrebbe che scegliere fra le varie maniere della pazzia o stupida o furiosa. Va’ e ara la tua felicità, perchè a tirare diritto un solco nella vita,