Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
capitolo xii. | 247 |
pianto. Appena la contessa potè ricuperare l’uso della parola, prese il figliuolo per un braccio, esclamando
— Su, levati, Lodovico, e prostrati davanti a questo miracolo di donna: pregala... supplichiamola insieme, affinchè ella si degni accettarti per marito. Del passato, ne parola, nè memoria.... Vieni, mia diletta figliuola.... un altro abbraccio.... un altro poi.... O Dio! ti piaccia temperare alquanto l’allegrezza che mi opprime il cuore.... Eponina, tu mi rendi più che il figlio.... più della vita.... mi hai salvato il nome, la fama della mia casa.... Io ti giuro da gentildonna che sopra Dio, no, che sarebbe peccato, ma quanto Dio, tu sarai da me sempre reverita....
Eponina ecco si pone framezzo alla madre e al figliuolo; trema tutta: dagli occhi le prorompono scintille di passione e di genio; stupenda a un punto e terribile a vedersi; con voce velata, che a mano a mano diventò scoppiettante e poi strepitosa come folgore che i nuvoli scoscenda, disse:
— Uditemi con animo pacato; io ho da parlarvi parole che non movono già da senso di orgoglio offeso, nè da baldanza presuntuosa di me: io le ho librate nelle mie meditazioni notturne e diurne, con diligenza maggiore di quella dell’orafo, quando pesa le gioie nelle sue bilancie. Noi non possiamo intrecciare insieme la nostra vita, però che troppo sieno diverse le nostre nature, sicchè congiunte,