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capitolo xii. | 245 |
Zinfi giudeo, arsi; arsi anco quelli posseduti dal Boncompagni: i buoni di banca falsi ritirati, e tutta accesa continuava: — o figliuolo mio! la tua costanza e la tua virtù ti hanno guadagnato i cuori di tutti; di me non parlo; ti basti che tua madre va altera di te. Comprendo che se la fortuna non era, tante belle cose tu non potevi fare; ma se la solerzia non tiene aperto l’uscio, la fortuna passa senza entrare mai in casa. Delle somme che tu mi spedisti io ho qui meco il conto, e vedrai come le furono erogate a tuo bell’agio.
Ludovico a cotesti discorsi restava come intontito; temeva essere preso a scherno; ma non si poteva persuadere che la madre amorosissima facesse di lui così atroce strazio, e poi dal fervore del dire e dai moti delle membra si conosceva chiaramente ch’ella favellava da senno; bensì non ardiva levare gli occhi verso Eponina, la quale pure teneva i suoi abbassati. La madre cagliava l’impeto e perdeva la tramontana; dopo lunga e affannosa dimora Ludovico con voce strozzata finalmente disse:
— madre! madre! Io non ho guadagnato nulla in virtiù, nè in danari: tutto quanto attribuite a me è opera di Eponina.
— Orsù, questa interruppe, dopo avere, giusta il suo costume, scossa per lo indietro la testa, poichè mi trovo costretta a dire, è vero; dall’esercizio del-