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capitolo xii. 239


prima di aprire bocca tentarono scandagliarsi. Noi conosciamo di già Eponina; le sue sembianze e gli atti percossero forte la contessa, molto più che le forme della giovane, in grazia dello esercizio della sua professione, avevano assunto certo garbo di alterezza virile, che assai le si addiceva; e la nuova emozione animava al doppio i tratti del suo volto, già vivi anche troppo. La contessa poi era donna di forme grandiose ed abbastanza attempata; però, sebbene ella non curasse punto dissimulare i danni della età, da talune parti delle sue fattezze rimaste intatte, si poteva argomentare quale fosse stato un di tutto l’insieme, come da poche colonne, o dal frammento di un architrave è dato giudicare quale, e quanta fosse la fabbrica caduta per terra: ma se la benevolenza ideò il sembiante della contessa, per certo non lo eseguì l’amore: contorni statuari, linee alquanto rigide; di ossatura potente; nella sveltezza del portamento poteva dirsi giovane: forse un dì anch’essa sarà stata vulcano, perchè tracce di cenere antica in lei se ne vedevano; anzi era proprio così; ma il dovere avendoci soffiato sopra con troppa veemenza, aveva con le passioni meno pure estinto le pure e le purissime: parlava a spizzico, sicchè, facendo sospettare che ella scegliesse prima quello che doveva tacersi e quello che doveva favellarsi, allontanava la confidenza altrui: ma i detti e le opere la faranno conoscere meglio da sè.