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perchè, essendone stata distolta un giorno da continue distrazioni, un altro dall’esaltamento dell’esercizio musicale, un terzo e un quarto dai trionfi continui, si formò una settimana, dalla settimana il mese, e la cosa cascò nel dimenticatolo.

Ma quello che ciondola, all’ultimo ha da cascare, sicchè quando Eponina se lo aspettava meno, ecco venirle addosso una inopinata ventura; certo giorno che ella se ne stava seduta davanti al piano-forte, dando una ripassata a certe arie della Straniera, che ella si era impegnata a cantare quella medesima sera, la serva le presenta una carta da visita dcv’ella lesse: «Contessa Anafesti nata Trittolemi.»

Le diede un tuffo il sangue e sentì rimescolarsi dal capo ai piedi; tutta tremante ordinava alla cameriera:

— Fate entrare la signora contessa nel salotto di rispetto; fra due minuti sarò da lei.

Corse nella sua camera, e subito si guardò allo specchio; ebbe paura della sua pallidezza: le labbra aveva pavonazze: il cuore le palpitava come se 11 per 11 stesse per ispezzarlesi; ella risoluta ci appose la mano destra e disse: chetati! Bevve un bicchier di acqua, scosse la testa e soggiunse: su, andiamo a recitare il quinto atto.

Come i capitani innanzi d’ingaggiare battaglia per via di segreti esploratori s’industriano riconoscersi, così queste due donne, con guardi obliqui