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capitolo xii. | 237 |
delle promesse date; prima di darle bisogna pensarci due volte, ma ad eseguirle nè manco una. Tra l’orgoglio offeso delle nozze dispari e l’onore maculato non ha luogo scelta; ti desidero copioso di beni, ma più di onore. Capisco che non ti sarà agevole ritirarti dal passo che hai fatto, ma la via retta è la più piana; apriti con la giovane, e se veramente ella ti ama, potendolo col suo decoro, ella di gran cuore acconsentirà al tuo bene: imperciocchè quantunque sia amaro confessarlo a voi altri uomini, per cagione della vostra superbia, è un fatto che noi donne valiamo troppo più di voi, ecc., ecc.»
Eponina dalla lettura di questa lettera cavò tre conclusioni. 1a Che se la signora Sofonisba non era gobba, sarebbe stato un miracolo. 2a Che di finissimo acciaio era stata formata la contessa, ma la ruggine della vanità l’aveva rosa più di mezza. 3a Essere spediente consegnarla senza far dimora a Ludovico.
Gliela consegnò ella? Non gliela consegnò perchè dal detto al fatto passa sempre un gran tratto: anche l’anima più risoluta, sul punto di pigliare irrevocabilmente un partito, il quale di punto in bianco le scombussola costumanze, abiti di vita, reliquie di affetti e intenti, che un dì invasero tutto il suo essere, ondeggia, o piuttosto tenzona con violenza fra il sì e il no; — non gliela consegnò,