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capitolo xii. 229


gnore sotto pretesto di mancanza di moneta, accadde un dì che egli lo cogliesse proprio sull’atto di ripassare danaro. Oh! per questa volta, esclamò il fittaiolo, voi non mi verrete a cantare che non avete quattrini: io vi piglio con la mano nel sacco; per lo appunto come hai detto tu; e il Fox gli rispose come io: — Non fui mai povero quanto adesso perchè, come vedi, riscontro questa moneta per mandarla a lord Say, il quale me l’ha vinta al gioco. — Oh! il mio, soggiunse il fìttaiolo, non è debito come quello col lord Say, anzi più vecchio, e però più inquieto per esser pagato. — Niente affatto, disse il Fox; a sicurezza del tuo credito tu possiedi la mia obbligazione, mentre il debito di giuoco non ha altra garanzia che quella del mio onore. — Ludovico, sappi che io ho destinato questo danaro a pagare debiti di onore.

— Ma dove tu hai mai giocato? Quando hai perduto?

— Ludovico! Io pago debiti d’onore, esclamò percotendo, tutta alterata, del pie la terra, — pago debiti di onore.... perchè a me premono più i debiti altrui dei miei.

— Anche io ho i miei debiti di onore.

— E ci credo, però credo ugualmente che tu non abbia mai pensato a soddisfarli.

Ludovico, quantunque fosse di temperamento lintfaico anzichè no, inasprito dal diniego del denaro,