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capitolo xii. 223


teva nella consueta guisa alla contessa, la quale rispondeva con lettere sempre uguali, come gli Oremus, piene zeppe di lodi e di promesse; ma siccome queste non vedeva mai Ludovico, così Eponina, maravigliando della indifferenza di lui circa il silenzio materno, un bel giorno gli disse:

— O Vico, e di tua madre non hai notizia alcuna?

— Da lei diretto nessuna, ma se capita qui qualche lombardo io ne faccio ricerca, e così m’avviene sapere di tratto in tratto che ella è viva e sana, che Dio la benedica. Mi sembra che, tacendo, mia madre operi da quella discreta gentildonna ch’è. O che vuoi tu ch’ella mi scrivesse? Miserie; ciò intristisce, e non leva un ragnatele dal buco: quando potrà mandarmi un po’ di danaro, mi scriverà.

E questo disse con tale una perfetta intonazione di gelo, così nell’anima come nella voce e nel sembiante, che Eponina ebbe a pensare: va’, tu se’ proprio della pezza donde si fanno le giubbe ai diplomatici!

Ora accadde che, avendo Eponina in certa veglia incontrato il signor Mario di Candia, cantante di quella eccellenza che tutto il mondo sa, seco lui si trattenesse a lungo, ed ella restasse incantata non solo pei modi squisitamente gentileschi, ma sì eziandio per la espressione delle doti che onorano la nostra umana natura. Più che altro, com’era da credere, favellarono di musica, ed egli le lasciò in-