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214 | il secolo che muore |
cenza di fare indirizzare a lui le lettere da Milano, con promessa di consegnarle tutte quante a lei: anzi, annuente il conte, s’impossessò di alcuni quaderni di carta con la impronta della legazione italiana, sopra la quale ella scrisse la lettera che si fingeva Ludovico spedisse alla madre: e ciò al fine di meglio colorire la cosa.
L’onesto locandiere di Vienna rispose puntualissimo e presto, chiudendo dentro la sua lettera ampia ricevuta del barone ebreo per saldo, fino e quietanza di ogni suo avere, pretensione, ecc. fino al presente giorno; ed aggiungeva: «Non creda però, mia signora amabile, ch’io glieli abbia dati tutti, che anzi mi andava proprio il sangue a catinelle per quelli che io gli ho dato. Avendolo avuto a me, io gli ho discorso così: Barone, non ti ho chiamato già per dirti che sei un ladiro, perchè questo lo sai da te, ed è un pezzo: non per leggerti la sentenza che ti condanna alla galera, perchè io non sono giudice, ma locandiere, ed arrostisco polli, non uomini: non per ribadirti l’anello intorno al collo del piede, perchè di mio mestiere io non faccio il magnano; bensì per parteciparti una notizia altrettanto gradita quanto inaspettata: immagina che invece di darti querela criminale per una truffa commessa, io ti pagassi il danaro che hai rubato al gioco a quel signore italiano di nome conte Ludovico Anafesti, quanti