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22 il secolo che muore


— Ebbene, signor lettore, senta un po’ me: se un giorno, per non bisticciarmi co’ miei critici, e per amore di menare buono per la pace, convenni con essi, che nei romanzi si ha da ragionare poco, e se punto, meglio che mai: i drammi senza impaccio devono precipitare al fine; lo scrittore flagellare il sangue di chi legge, come il fantino il cavallo che ha sotto se vuol vincere il palio, per poi gelarglielo a un tratto con la catastrofe inopinata; se un giorno, dico, consentii così, non per questo affermai cosa giusta, nè vera: parlai a modo degli altri, a patto che mi lasciassero fare a modo mio.

E primamente, consideri di grazia, le digressioni posi sul principio dei capitoli, onde a cui piace possa metterle da parte, e proseguire nella lettura del racconto; come appunto fece l’Ariosto:

Lasciate questo canto, che senz' esso
Può star la storia, e non sarà men chiara.

E noti poi la diversità grande che passa fra il dramma e il romanzo; in quello concorrono le arti del musico, del pittore, del coreografo, del sarto, del macchinista, e via discorrendo; anzi, si avvantaggia fino dell’arte di coloro che fanno da mare1;

  1. A certo francese, che si vantava artista drammatico, fu domandato quali parti facesse, al che rispose superbamente: je fais le flot, vale a dire l’arte di quelli che, mettendosi sotto la tela grigia, coll’alzare e abbassare del groppone danno immagine agli spettatori delle onde del mare in burrasca.