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20 | il secolo che muore |
fesso cammino ha bisogno di procedere senza impacci.
Orsù, — è dolorosa l’ora dell’addio; l’orgoglio nostro repugna a condannarci alla inerzia, mentre il sangue ci pulsa sempre nelle arterie, ma confessiamolo aperto, il nostro compito è fornito. Anco ai Romani entrati nel senio concedevasi che dalle faccende pubbliche si appartassero: dopo i sessanta anni le domande dell’ufficio di giudice vietate; e ci era una legge a posta1. La gente non lodava, all’opposto tentennando il capo, deplorava Mario, il quale fatto vecchio si mesceva fra i giovani ad armeggiare2. Noi abbiamo respirato un’ora l’aria benedetta della libertà; noi lavata la patria col sangue dei martiri dalla secolare contaminazione, ella adesso può inalzare con animo sereno la sua preghiera al padre delle cose, e comparire con dignità nel concilio dei popoli. Riposiamo; altre menti, altri cuori desiderano le sorti future. A modo che Giacobbe usciva dal seno di Rebecca, tenendo agguantato pel calcagno Esaù, così dalla nostr’anima proruppero gemelli l’odio e l’amore. La nostra voce di troppo ingrossò nel concitato impero e nella smaniosa maledizione, onde da un punto all’altro diventi blanda per benedire e per pregare: sovente nelle nostre pupille balenò il raggio del genio della uma-