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Allora il Governo regio, frenetico davvero dalla paura di trovarsi abbandonato sopra le secclie, si rimette, a mo’ che vediamo gl’incappucciati a pie’ delle Madonne di Luca della Robbia, a mani giunte a piagnucolare: «bastargli la Venezia; se concupì il Tirolo italiano, mea culpa; se l’Istria, mea culpa; se Trieste, mea maxima culpa: quanto a sè, proporre fermamente non peccare mai più, e fuggire le occasioni prossime del peccato. Ma con questo benedetto, o piuttosto maledetto popolo italiano, intestato a volere tutte coteste terre, come si rimedia? — Gli è lui, proprio lui, che ha la lupa in corpo, non già l’Aquila di Savoia, usa da secoli a contentarsi di rosicchiare ad una ad una le foglie di carciofo, come tutto il mondo sa, ed è vero.

E badate che: «quando il Cialdini ebbe passato il Po ed occupato Rovigo, tanto esso che Garibaldi riceverono una visita da Ricasoli, presidente dei ministri, il quale disse ai due generali: la diplomazia non riconoscere se non i fatti compiuti; epperu entrambi si affrettassero a prendere Trento. La diplomazia poi approverebbe il possesso».1

Ma d’infamia giammai non fu penuria negli uomini della monarchia: «il Governo italiano (è sempre uno straniero che parla) con un milione di

  1. Rustow. Guerra del 1866, p. 381.