Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
144 | il secolo che muore |
priva dì ogni sensibilità si contorse tutta in orribile maniera; la mente stette ferma, se non che Curio sentì mancargli sotto il terreno, ond’ebbe ad appoggiarsi al cannone per non cadere.
Una nuova scarica per la parte degli austriaci avrebbe finito di ammazzarli tutti; non venne: all’opposto fu visto levarsi sul forte una bandiera bianca in segno di resa, mentre lo stendardo imperiale svolgeva a stento il suo lembo per ricadere penzolone lungo la stacca; pareva che appenasse nella agonia, e l’aquila grifagna per vergogna dentro le pieghe di quello si nascondesse. Ai morti non si attese più, e nè manco ai feriti; anzi questi stessi di sè non pigliano cura, smettono gli omei per aggiungere la voce loro allo immenso grido, che percosse l’aria dintorno: Viva Italia! Italia per sempre!
Il comandante del forte sortì per la capitolazione: i patti brevi: si rendessero ad arbitrio del vincitore: lasciate agli ufficiali le armi e le robe, per cortesia non per obbligo.
Avendo taluno avvertito il generale Haug perchè facesse al comandante austriaco affermare con parola di onore che il forte non era minato:
— Lo farò, rispose il generale, quantunque per me lo consideri perfettamente inutile.
— Inutile! E non vi trovaste a Roma con noi, generale, dove patimmo tanti e sì strani tradimenti?