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capitolo x. | 15 |
impertanto la opera nostra nei consigli e sui campi. Prima dicevamo: attendiamo ad essere, che al modo di vivere provvederanno poi il tempo, i costumi e la buona fortuna. Tra noi non si conobbe Giuda; più tardi taluno dei principi, per onestare il proprio tradimento, trascorse fino ad accusare altrui di traditore: sciagurato! Si aguzzò il cavicchio sul ginocchio, e ben gli stette. Pare impossibile, ma io ho provato che la cosa, la quale a lungo andare maggiormente si vendica nel mondo, è il pudore offeso. Magistrati che spolverizzassero la cosa con la cenere di giustizia, non fecero difetto: suprema ancora della società pericolante, la magistratura! Lo dicono tutti i libri stampati.
Le armi al cimento inferme, e forse altra causa più rea, prostrarono le fortune italiche a Novara: allora principi e preti imbandirono la mensa sopra il cataletto della libertà, e vi si ubbriacarono col sangue dei martiri: ogni coniglio fatto sicuro della impunità, diventò gatto; ma la libertà vive anche nel sepolcro, e chiamato a sè l’odio ella gli disse: — Ripiglia a ordire la trama della vendetta! E l’odio così bene fece il compito, che indi a dieci anni in ogni villa fu udito suonare a stormo per la riscossa: cotesti pusilli feroci cascarono come croste secche di lebbra guarita. Il principe casalingo era rientrato nell’ombra, dalla quale sarebbe stato meglio non fosse uscito mai: gli subentrava il figliuolo;