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capitolo xi. | 129 |
Fuori di Condino si agita un grande brulichio di gente, la quale di grado in grado quotandosi si ordina in fila, giusta i comandi dei suoi capitani: quanto meglio potevano s’industriavano a ricomporre le compagnie, tanto crudelmente decimate al passo e al ripasso del Chiese. Chi volesse sapere qual tributo di sangue la gioventù italiana pagasse in questa infelice impresa, gli dirò, che di una compagnia di 187 soldati, 90 appena risposero all’appello; la 24a poi, rimase con un sergente, due caporali ed un tenente. Poco oltre si mirava il loro colonnello a cavallo, tutto inorato che era un desìo; con la sciabola irrequieta egli trinciava l’euro a fette, come il Conte di Culagna nella Secchia rapita, o ci faceva crocioni da disgradarne il papa. Appena Filippo l’ebbe scorto esclamò:
— Ecco il capitano famoso!
E siccome tanto non parlò basso, che altri degli accorsi costà non lo udissero, taluno di loro soggiunse:
— E adesso, che abbaca egli?
— Ha ordinato la rassegna della sua colonna ricomposta, prima di ricondurla alla mazza.
— Zitti:
Stiamo Marte a sentir la gloria nostra,
chè a quanto sembra egli è per mettere fuori un’arringa.
— Udiamo! Udiamo!