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capitolo xi. | 111 |
e vuole confessarsi a voi. — O come volete che a quest’ora bruciata mi metta giù tra questi scavezzacolli e mi arrischi a guazzare l’Adda di notte?
— Se gli è per questo non si rimanga, che qui oltre hanno fabbricato un ponte e vostra reverenza potrà passare da una sponda all’altra, come dalla canonica in chiesa. — O come mai? E chi ce l’ha fatto? Ce l’ha fatto sua maestà l’imperatore Francesco?
— Venga e vedrà. — Vengo, vengo; piglio la pipa, l’olio santo e l’ombrello e vengo via. — Andò, maravigliò, e passò; l’innamorato rimase a sbirciare di qua dal fiume: intanto la notte era diventata buia; il diavolo sente il rumore dei passi e dice: Attenti, eccolo il bindolo; ora te la darò io per avermi fatto aspettare tanto. Stende le braccia, acciuffa il curato e gli dà una zannata; per ventura mise il dente sulla scatola dell’olio santo e la stiantò di netto; l’olio santo gli si sparse in bocca. — Puh! che puzzo! questa è roba da preti e questa è anima di prete; sa di salvatico e non mi basterebbe a digerirla un mese, tanto ha il salcigno addosso. — E presi alla rinfusa anima e corpo del curato, pipa, olio santo e ombrello, li scaraventò giù nell’Adda, scappando via scornato tra un nugolo di fuoco e di zolfo. Ecco come il diavolo fu gabbato e il ponte costruito. I superiori ordinarono passassimo il ponte notte tempo e senza fiatare; prima di metterci il piede, chi si fece il seguo della croce, chi